Gemme di misteri divini: introduzione

Questo trattato è stato scritto per rispondere a un ricercatore che aveva chiesto come fosse avvenuto che il Promesso Mahdí Si era trasformato in ‘Alí-Muhammad (il Báb). L’opportunità offerta da questo quesito è stata colta per elaborare alcuni temi, tutti utili e vantaggiosi non solo per coloro che cercano ma anche per coloro che hanno trovato, se solo percepiste con l’occhio della virtù divina.  (Baha’u’llah, Introduzione p. ii-iii)

Fra quelle prime effusioni della Penna della Gloria c’è una lunga epistola in arabo nota come Javáhiru’l-Asrár, che alla lettera significa «gemme» o «essenze» dei misteri (Baha’u’llah, Introduzione p. ii)

Il ricercatore cui il passo citato allude era Siyyid Yúsuf-i-Sihdihí Iṣfahání, che in quel tempo abitava a Karbilá. (Baha’u’llah, Introduzione p. iii)

“…attraverso la comunicazione con i pellegrini e residenti nel territorio iracheno, le persone interessate ricevevano notizie riguardanti il nuovo Messaggio e coloro che erano desiderosi di conoscenza ed erano ricercatori facevano le domande e ricevevano le risposte. Tra queste persone c’era Siyyid Yusuf-i-Sidihi Isfihani che scrisse una lettera da Karbila e la inviò alla presenza di Baha’u’llah, ponendo domande sulla rivelazione del Qaim e i suoi segni e dicendo: chiunque risponda a queste domande sarà colui a cui confesserò la mia fede. Askar Saheb, uno degli amici, venne alla presenza di Baha’u’llah e consegnò la lettera con le domande. La Bellezza di Abha, nello stesso giorno rivelò Risali-i-Javahiralasrar e la inviò a lui…”

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 occhio della virtù divina

O UOMO DALLE DUE VISIONI!

Chiudi uno dei tuoi occhi e apri l’altro. Chiudi l’uno al mondo e a tutto ciò che è in esso, e apri l’altro alla santa bellezza del Diletto. (Baha’u’llah, Parole Celate persiano N. 12)

Fratello Mio! Fino a quando non entrerai nell’Egitto dell’Amore, non potrai mai giungere al Giuseppe della Beltà dell’Amico, e fino a che, come Giacobbe, non trascurerai l’occhio esteriore, non dischiuderai mai l’occhio del tuo essere interiore, e fino a che non arderai del fuoco dell’amore, non potrai mai entrare in comunione con l’Amante del Desio.  (Baha’u’llah, Le Sette Valli e le Quattro Valli, p. 10)

Con le orecchie interiori ed esteriori udrà gl’inni di gloria e le lodi ascendere dalla polvere al Signore dei Signori e con l’occhio interiore scoprirà i misteri del «ritorno» e della «rinascita». Quale indicibile gloria nei segni, negl’indizi, nelle rivelazioni e negli splendori che il Re dei nomi e degli attributi ha destinato a quella Città!  (Baha’u’llah, Kitab-i-Iqan, # 218)

Il linguaggio delle Manifestazioni di Dio

Ti è noto che gli Uccelli Celestiali e le Colombe dell’Eternità parlano un doppio linguaggio. Uno, il  linguaggio esteriore e privo di allusioni, non è nascosto e velato, affinché sia lampada di guida e luce di luminoso faro, per cui i viandanti possano raggiungere le altezze della santità e i ricercatori avanzare nel regno dell’eterno ricongiungimento. Così sono le limpide tradizioni e i versetti evidenti già menzionati. L’altro è velato e nascosto, perché qualsiasi cosa celata nel cuore dei malvagi possa svelarsi e il loro intimo essere palesarsi. Così parlò Sádiq, figlio di Muhammad: «Dio invero li vuole provare e vagliare». Questa è la norma divina, questa è la Pietra di Paragone di Dio con la quale Egli saggia i Suoi servi. Nessuno capisce il significato di quelle parole, tranne coloro che hanno certezza nel cuore, le cui anime hanno trovato il favore di Dio, le cui menti si sono allontanate da tutto fuorché da Lui. In questi detti il significato letterale, che generalmente la gente comprende, non è quello che si è inteso esprimere. Così è detto: «Ogni  conoscenza ha  settanta significati, uno soltanto dei quali è conosciuto dagli uomini. E quando il Qá’im apparirà, rivelerà agli uomini tutto ciò che rimane». Egli disse pure: «Pronunziamo una parola e con essa Ci riferiamo a uno e settanta significati; ognuno dei quali possiamo spiegare».  (Baha’u’llah, Kitab-i-Iqan, # 284)

 FORME ESTERIORI E SIMBOLI DEBBONO ESSERE USATI PER ESPRIMERE I CONCETTI INTELLETTUALI

             Un punto di importanza essenziale per chiarire i problemi già accennati e quelli di cui parleremo ora, affinché l’essenza dei problemi possa essere compresa, è questo: La conoscenza umana è di due specie. Una è la conoscenza delle cose percepibili dai sensi, cose cioè che l’occhio, o l’orecchio, o l’odorato, o il gusto, o il tatto possono percepire e che sono chiamate oggettive o sensibili. Così il sole, poiché può essere visto, si dice essere oggettivo; allo stesso modo i suoni sono sensibili in quanto le orecchie possono udirli; i profumi sono sensibili perché possono venire aspirati e il senso dell’olfatto li percepisce; i cibi sono sensibili perché il palato ne percepisce

la dolcezza, l’acidità o la salinità; il caldo e il freddo sono sensibili perché il senso del tatto li percepisce. Queste si dicono essere realtà sensibili. L’altra specie del percepire umano è di carattere intellettuale; è cioè una realtà dell’intelletto, non ha una forma estrinseca né un luogo, e non è percepibile dai sensi. Ad esempio, il potere dell’intelletto non è sensibile, nessuna delle qualità dell’uomo è cosa sensibile; al contrario esse sono realtà intellettuali. Così l’amore è una realtà

mentale e non sensibile, poiché questa realtà le orecchie non la odono, gli occhi non la vedono, l’odorato non la percepisce, il gusto non la discerne e il tatto non la sente. Perfino la materia intangibile, quelle forze che in fisica si chiamano calore, luce, elettricità e magnetismo, sono realtà intellettuali e non sensibili. Per spiegare queste realtà intellettuali si è costretti a esprimerle con

figure sensibili perché nell’esistenza apparente non v’è nulla che non sia materiale. Di conseguenza per spiegare le realtà dello spirito, le sue condizioni, i suoi stadi, sì è costretti a dare delle   spiegazioni in forma percepibile, poiché nel mondo manifesto tutto ciò che esiste è percepibile.

Ad esempio, dolori e gioie sono cose intellettuali e se volete esprimere queste qualità spirituali, dite: “Il mio cuore è oppresso, il mio cuore è gonfio”, benché il cuore dell’uomo non si opprima né si gonfi. Questo è uno stato intellettuale o spirituale, ma per spiegarlo siete costretti a ricorrere a figure sensibili. Un altro esempio; voi dite: “Costui fece grandi progressi”, benché egli rimanga nello stesso posto; o ancora, “la posizione del tale è stata veramente esaltata”, sebbene, come qualsiasi altro uomo, costui cammini sulla terra. Questa esaltazione e questo progresso sono stati spirituali e realtà intellettuali, ma per spiegarli avete dovuto ricorrere a figure sensibili perché nel mondo  apparente non vi è nulla che non sia sensibile. Così la luce è il simbolo della conoscenza e l’oscurità

quello dell’ignoranza; ma, riflettete, il sapere è forse luce sensibile o l’ignoranza oscurità   percepibile? No, essi sono puramente simboli. Sono stati intellettuali, ma se volete esprimerli materialmente chiamate luce il sapere e oscurità l’ignoranza. Voi dite: “il mio cuore era cupo e

divenne luminoso”. Ora, quella luce del sapere e quella oscurità dell’ignoranza, sono realtà  intellettuali e non sensibili; ma quando cerchiamo di tradurle in parole siamo costretti dar a esse una forma sensibile. È dunque evidente che la colomba che scese su Cristo non era una colomba  materiale, ma era uno stato spirituale; e per renderlo comprensibile, venne espresso da una figura sensibile. Cristo disse: “Il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre”. Era Cristo in Dio o Dio in Cristo? No, nel nome di Dio! Al contrario, si trattava di uno stato intellettuale che veniva espresso da una figura sensibile. Ora veniamo alla spiegazione delle parole di Bahá’u’lláh quando dice: “O Re, io non ero che un uomo come gli altri addormentato sul mio giaciglio, quando le brezze del Gloriosissimo spirarono su me insegnandomi la sapienza di tutto ciò che è stato. Questo potere non ha origine in me stesso, ma viene da Uno che è possente e sa tutto”. Questo è lo stato della   Manifestazione; esso non è percepibile con i sensi, ma è una realtà intellettuale, esente e libera dal tempo, dal passato, dal presente e dal futuro; è una spiegazione metaforica, un paragone, e non deve essere preso letteralmente; non è uno stato che possa essere pienamente compreso dall’uomo. Dormire e vegliare costituiscono un passaggio da uno stato all’altro. Dormire è la condizione di riposo, l’essere desto è condizione di moto; dormire è stato di silenzio, essere desto è stato di articolare la voce; dormire è lo stato del mistero, essere desto è lo stato della manifestazione.

Ad esempio esiste un’espressione persiana e araba per dire che la terra era addormentata e la primavera venne e la destò; oppure che la terra era morta e la primavera venne a risuscitarla. Queste espressioni sono metafore, allegorie, spiegazioni mistiche nel mondo del significato. In breve, le Sante Manifestazioni sono sempre state e sempre saranno Realtà Luminose; nessun cambiamento

o variazione ha luogo nella loro essenza. Prima di dichiarare la loro manifestazione esse erano silenziose e tranquille come un dormiente, e dopo la loro manifestazione esse parlano e sono illuminate come un essere che è desto. (Abdu’l-Bahà, Le Lezioni di San Giovanni d’Acri, XVI)

da Dio Passa nel Mondo…

…onda dopo onda, irradiarono un potere, uno splendore e una gloria che a poco a poco rianimarono una Fede languente, duramente colpita, che stava cadendo nell’oscurità ed era minacciata dall’oblio. Da essa, giorno e notte, si diffusero con crescente energia le prime emanazioni di una Rivelazione che per vastità, copiosità e forza trainante era destinata a superare quella del Báb.  (Shoghi Effendi, Dio Passa nel Mondo, cap. VII, # 14)

Seguì un periodo di prodigiosa attività che superò nella sue ripercussioni lo splendore degli anni primaverili del ministero di Bahá’u’lláh.  (Shoghi Effendi, Dio Passa nel Mondo, p. 173, # 17)

I tempestosi venti che flagellarono la Fede all’inizio del Suo ministero e la gelida desolazione che segnò l’inizio della Sua carriera profetica subito dopo l’esilio da Teheran furono seguiti nell’ultimo periodo del Suo soggiorno a Baghdad da quelli che possono essere descritti come gli anni primaverili della Sua Missione, anni che videro esplodere in attività visibili le forze racchiuse nel Seme divino che era rimasto sopito dopo la tragica scomparsa del Suo Predecessore. (Shoghi Effendi, Dio Passa nel Mondo, p. 207, # 17)

«Tavole rivelate in arabo» cui si fa cenno nel Kitáb-i-Íqán

Svelando questi misteri, nelle Nostre precedenti Tavole indirizzate a un amico nella melodiosa lingua del Hijáz, abbiamo citato alcuni versetti rivelati dagli antichi Profeti. E ora, aderendo alla vostra richiesta, li citeremo ancora in queste pagine esprimendoli questa volta nei meravigliosi accenti dell’`Iráq, affinché coloro che son tormentati dalla sete nelle selve della lontananza raggiungano l’oceano della presenza divina e chi langue nei deserti della separazione sia guidato alla dimora dell’eterno ricongiungimento (Baha’u’llah, Kitab-i-Iqan, # 19)

Avendone dati lunghi ragguagli nelle nostre Tavole rivelate in arabo, non Ce ne siamo occupati in queste pagine, limitandoCi a una sola citazione. (Baha’u’llah, Kitab-i-Iqan, # 25)

TIPOLOGIA ——— TIPO ———— ANTITIPO

↓                              ↓                             ↓

Forma di retorica —– Passato ———- Presente

↓                            ↓

La tipologia è una —– Presente ——— Futuro

figura del discorso

che si muove nel

tempo

↓                           ↓

Due unità che esistono simultaneamente (Grande Codice, p.117)

modo di pensiero                ↓

↓                       I Tipi sono spesso stabiliti, o almeno interpretati come tali,

solo dopo la comparsa degli Antitipi (Grande Codice, p.118)

presuppone

conduce

Teoria della storia

più precisamente

del Processo Storico

La tipologia si riferisce

ad eventi futuri che sono

concepiti come trascendenti

nel tempo, così che essi

contengono sia come una ascesa

verticale che un movimento

orizzontale in avanti

(Grande Codice, p.115-119)

Alcuni esempi tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento

“…Adamo (Adamo Typos di Cristo) il quale è figura (Figura equivalente di Typos) di Colui che doveva venire.” (Romani, 5:14)

“…Essa infatti è una figura del tempo presente…” (Ebrei, 9:9)

“…Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo…” (Ebrei, 11:19)

“…Figura, questa del battesimo, che ora salva voi…” (1 Pietro, 3:21)

“…Ecco, io faccio nuove tutte le cose…” (Apocalisse, 21:5)

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